dagli “Stregoni” dell’Africa Misteriosa, tutti i loro rimedi per curarci…
Africa, tra rimedi naturali e magia
Quando si pensa all’Africa, terra sconfinata e dalle mille sfaccettature, una delle immagini proprie del pensiero collettivo è quella dei cosiddetti stregoni, uomini generalmente di età avanzata, molto rispettati da tutta la gente del villaggio e in grado di risolvere problemi di salute e sconfiggere malefici.
Prima dell’evento del colonialismo, l’Africa era in effetti un continente dove stregoni e guaritori si occupavano di tutti i disturbi, sia che provenissero dall’anima che dal fisico e ancora oggi, in remote zone di questa suggestiva terra, esistono ancora con immutata reputazione.
In realtà la differenza tra stregoni e guaritori era piuttosto marcata e benché i primi venissero considerati spiritualmente più dotati, era ai secondi che la gente comunemente si rivolgeva in caso di bisogno.
I guaritori africani erano i veri portatori della conoscenza delle erbe selvatiche e delle piante da utilizzare a seconda del problema riscontrato.
Tra le specie più utilizzate, riveste particolare importanza l’albero del pastore o Boscia albitrunca, un albero autoctono ora protetto, tipico dell’Africa meridionale e tropicale e ritenuto santo.
In Botswana sono state costruite strade attorno ad esso pur di non abbatterne nemmeno un esemplare e in Namibia si utilizzavano le radici che fuoriuscivano dal terreno, senza intaccare le principali, per ottenere una farina con cui si faceva il pane o il caffè.
Ma l’infusione fredda delle sue foglie era un’ottima lozione per gli occhi irritati dei bovini e i frutti acerbi un rimedio contro l’epilessia.
Le infezioni all’orecchio venivano trattate con la polvere secca dei baccelli dell’Acacia erioloba, la cui gomma era impiegata contro la gonorrea e la cui corteccia polverizzata costituiva un rimedio contro la cefalea.
L’Acacia hebeclada era importante per le sue radici che, opportunamente tritate, venivano assunte in caso di diarrea mentre l’Acacia nilotica era ben nota alla popolazione Zulu che preparava un tè a base della sua corteccia per curare la tosse, la diarrea, la lebbra, il mal di denti e le ulcere da sifilide.
La Voacanga africana è invece un piccolo albero diffuso nella parte orientale dell’Africa e nelle isole del Golfo di Guinea, molto utilizzato dalla tribù Diola per contrastare le malattie infettive.
In alcune tribu veniva utilizzato anche come analgesico e per trattare i disturbi mentali.
La Voacanga africana contiene la voacangina, un alcaloide leggermente tossico che agisce come antidepressivo.
La tossicità delle piante spesso veniva sfruttata come ingrediente per la caccia, come quella della Acokanthera oppositifolia, estremamente velenosa, contenente l’acovenoside, un glicoside cardiaco generalmente utilizzato per regolare gli scompensi del cuore.
L’infusione della corteccia di questa pianta veniva impiegata per trattare le mestruazioni irregolari o dolorose oppure il mal di denti e l’infestazione da parassiti; le dosi somministrate erano minime poiché l’acovenoside può causare la morte.
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