i Nativi Americani,Popolo sano e forto si curavano con i Rimedi di Madre Natura…

i Nativi Americani,Popolo sano e forto si curavano con i Rimedi di Madre Natura…

Come si curavano i nativi americani

seconda parte

 

L’utilizzo di rimedi naturali da parte dei nativi americani abbracciava diversi campi d’azione, in quello che era un autentico rapporto equilibrato con la Natura, di cui l’antica popolazione sfruttava virtù e benefici.

Il lascito degli indiani d’America alla moderna erboristeria è consistente, come testimoniano gli attuali trattati che includono molte delle erbe e delle piante utilizzate in passato.

In particolare i Cherokee, una tribù che proviene dall’Oklahoma e da stati circostanti, avevano un elevato rispetto per le piante che pensavano fossero state create per aiutarli a contrastare malattie, disturbi e, in molti casi, a stabilire un contatto con le divinità.

La medicina erboristica dei Cherokee e di altri nativi americani è stata praticata per centinaia di anni, dimostrando una profonda conoscenza delle proprietà curative delle piante a loro disposizione, conoscenza tramandata da una generazione all’altra grazie ai guaritori e agli sciamani.

I Cherokee utilizzavano un unico metodo di raccolta delle piante, scegliendo solo la terza generazione di esse per assicurare una continuità delle specie.

Come la Smilax bona-nox, della famiglia delle Smilacaceae, una vite rizomatosa con arbusti arrotondati che crescono fino a otto metri di lunghezza; le foglie sempreverdi sono di colore verde pallido e il frutto, una bacca nera di poco più di un centimetro, costituisce il cibo per molte specie di animali.

I nativi utilizzavano questa pianta per diversi scopi; la popolazione di Creek strofinava la pianta inumidita sul volto per guadagnare in giovinezza mentre quella dei Comanche usava le foglie per confezionare sigarette.

Gli Houma della Louisiana utilizzavano invece le radici per trattare le infezioni urinarie ma soprattutto per purificare il sangue e curare l’artrite.

Foglie e corteccia macinate e mescolate con il lardo servivano a trattare ustioni, tagli, graffi e ferite.

Le more, che oggi la ricerca ha dimostrato essere ricche di bioflavonoidi, antiossidanti e altre sostanze benefiche per l’organismo, venivano impiegate dai Cherokee per i problemi di stomaco.

Le radici della pianta erano ottime per calmare tosse, gengive infiammate e le piaghe orali, grazie alle proprietà antinfiammatorie che riducono il gonfiore e migliorano la mobilità articolare.

La tifa o Typha latifolia è una pianta diffusa anche in Italia, dove cresce spontaneamente lungo gli argini dei fiumi e il suo utilizzo risale già al Paleolitico superiore per confezionare il pane.

La tifa, secondo la tradizione dei nativi americani, non era un trattamento medicinale bensì un tipo di medicina preventiva, utile nei processi di guarigione per recuperare il fisico debilitato.

Molto ricca di amido, la tifa veniva consumata interamente, salvo le foglie e le teste dei semi.

Il sumac, o sommacco in italiano, fa parte delle trentacinque specie del Rhus, appartenente alla famiglia delle Anacardiaceae.

Utilizzato come potente spezia, il sumac ha grandi proprietà medicinali; impiegato come decotto fatto dalla corteccia, era un ottimo rimedio per il mal di gola, la dissenteria e la febbre.

Le foglie fresche, mescolate con le bacche, venivano impiegate per realizzare una pasta in grado di eliminare l’avvelenamento da edera.

Infine la rosa canina, ricca di una quantità significativa di vitamina C, era ampiamente utilizzata per prevenire e curare influenza e raffreddamenti ma anche spasmi e ulcere dello stomaco e malattie intestinali.

I Cherokee, in particolare, assumevano tè a base di rosa canina per stimolare reni e vescica e utilizzavano le radici per contrastare la dissenteria.

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